di Salvo Barbagallo
Ma fanno veramente “comodo” i migranti che, prima o poi, finiscono in Italia? E se è così, perché mentre si dice di voler contrastare il flusso dei “fuggitivi”, dall’altra parte si decide di andarli a “prelevare” in migliaia addirittura in aereo per portarli e farli risiedere nel nostro Paese? Evidentemente ci sono “logiche” politiche che il cittadino comune (e noi siamo fra i “cittadini comuni”) non riesce a comprendere, e qualora volesse approfondire questo “tipo” di argomento non troverebbe informazione adeguata e di facile accesso.
Dove si trova il Niger? Nel medio continente africano, senza sbocco al mare, confina a nord con l’Algeria e la Libia, a est con il Ciad, a sud con la Nigeria e il Benin e a ovest con il Burkina Faso e il Mali, con una popolazione di quasi 21 milioni di abitanti e un territorio quattro volte più grande dell’Italia. L’economia del Niger è una delle più povere fra quelle degli Stati che fanno parte del “terzo mondo” ed è basata sulla pastorizia e sull’agricoltura; a queste si sta affiancando l’industria mineraria e in particolare l’estrazione e l’esportazione dell’uranio. La parola chiave, la parola magica, a quanto pare, è: “uranio”, al quale è interessato principalmente la Francia. Detto questo, a nostro avviso, non si dovrebbe aggiungere altro per comprendere i “veri” interessi che rendono “attenzionabile” questo paese povero oltre ogni limite.
Antonella Napoli su “Huffpost” evidenzia che Il Niger è da tempo un “sorvegliato speciale” degli americani e degli altri attori impegnati nella regione, soprattutto per l’imperversare dei terroristi di Boko Haram che facendo la spola dalla vicina Nigeria, dove hanno insediato il loro dominio, sono particolarmente attivi nel Paese. E proprio il mix di minacce provenienti dal traffico di esseri umani e dal terrorismo che è andato consolidandosi in questi anni nel Sahel, ha spinto il premier italiano verso la richiesta al Parlamento di autorizzare la missione in Niger (…).
Dunque, l’uranio non sarebbe il punto d’interesse, ma il pericolo che deriva dal terrorismo e dal traffico di esseri umani.
E Gianandrea Gaiani su “Analisi Difesa” sottolinea che Le intese raggiunte la scorsa settimana a Parigi fanno riferimento a un’organizzazione “effettiva e reale” per sostenere sul campo le forze militari dei Paesi del G5 Sahel (Mali, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad) con contingenti francesi, tedeschi, italiani e probabilmente anche belgi e spagnoli. Una Alleanza per il Sahel tesa a combattere le milizie islamiste (al-Qaeda nel Maghreb Islamico e diverse altre sigle della galassia jihadista) e organizzazioni criminali in una regione in cui i traffici illeciti finanziano il jihad e le milizie sono composte da guerriglieri attivi al tempo stesso come banditi dediti ai traffici di esseri umani, armi, droga e ai rapimenti (…) Schierare truppe sul terreno aumenterà i bersagli a disposizione dei jihadisti per effettuare imboscate, attentati o seminare ordigni improvvisati lungo le piste desertiche battute dalle pattuglie. Inoltre non è ancora chiaro quali e quanti Stati Ue autorizzeranno l’impiego dei propri militari in azioni di combattimento mentre in Italia si sottolinea (come sempre) il ruolo dei nostri militari per addestrare le forze nigerine. Se da un lato l’operazione nel Sahel rappresenterà un test per le capacità della tanto sbandierata difesa europea, dall’altro vedrà inevitabilmente confrontarsi interessi ed egemonie. I francesi ”giocano in casa” non solo perché il G-5 Sahel è composto da ex colonie di Parigi ma perché dall’intervento contro i jihadisti in Malì nel 2012 la Francia ha mantenuto una consistente presenza militare nella regione combattendo non senza perdite i gruppi jihadisti (…) Grazie ai contingenti europei, Parigi potrà ridurre l’attuale esposizione nell’operazione Barkhane (4mila militari con 30 velivoli e 500 veicoli) sostenuta in questi anni anche grazie al supporto finanziario e logistico statunitense (…).I costi della missione italiana (che venne smentita dalla Difesa nel maggio scorso) sono ancora da quantificare ma verrebbero compensati dalla sensibile riduzione delle forze in Iraq (missione costata quest’anno 301 milioni, 237 nel 2016 e 200 l’anno precedente) e da quella più limitata delle truppe in Afghanistan (con stanziamenti di 174,4 milioni quest’anno e 179 nel 2016) cui ha fatto riferimento recentemente il ministro della Difesa Roberta Pinotti. In Niger poco meno di 500 militari con 150 veicoli (inizialmente paracadutisti della “Folgore” secondo indiscrezioni) verrebbero schierati nella base francese di Madama (che dovrà essere ampliata e si trova in una regione ampiamente minata) per controllare le piste dirette in Libia e attraversate dai traffici migratori illegali il cui blocco resta prioritario per Roma (…) In termini strategici vale poi la pena chiedersi se un simile dispiegamento abbia attualmente un senso, soprattutto se effettuato in condizioni di subalternità rispetto ai francesi che continuano ad essere (dal 2011) i più importanti competitor dell’Italia rispetto alla situazione in Libia.(…).
E sempre Gianandrea Gaiani, su “il Sole 24 Ore” che chiarisce: L’operazione rischia quindi di vedere gli italiani relegati al ruolo di gregari o “ascari” di quella Francia che continua a essere il peggior rivale dell’Italia in Libia. Del resto l’operazione nasce all’insegna di un’ambiguità frutto in parte della retorica sulle “missioni di pace” e in parte dell’imminente scadenza elettorale (…)Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha parlato di una «missione che avrà il ruolo di consolidare il Niger, contrastare il traffico degli esseri umani e il terrorismo».
In quella regione i traffici illeciti (droga, armi ed esseri umani) sono del resto gestiti dalle stesse organizzazioni jihadiste, come hanno confermato già nel 2014 tutte le agenzie d’intelligence presenti nel Paese africano: crimine e jihadismo sono facce della stessa medaglia e contrastarli significa anche combattere (…) Lo scopo dello schieramento a Madama è bloccare i flussi di immigrati illegali che da Agadez muovono verso la Libia ma in un’area così vasta non sarebbe difficile per i trafficanti aggirare il dispositivo italiano sconfinando in Algeria per entrare in Libia a Sud di Ghat. Per bloccare i flussi migratori illeciti non c’è bisogno di schierare truppe in Niger: sarebbe sufficiente consegnare alla Guardia costiera libica (che l’Italia finanzia, addestra ed equipaggia) i migranti illegali soccorsi nel Mediterraneo dalle flotte italiane e Ue per affidarne il rimpatrio alle agenzie dell’Onu (…).
Con questi chiarimenti, c’è da chiedersi il perché si è già passata in archivio l’esperienza italica in Libia, che segnò la fine di Gheddafi e provocò il caos (ancora persistente) in tutta l’area?